Ci ho messo sette anni di matrimonio e quasi quarant'anni di vita per iniziare a fidarmi prima di mia suocera e poi di mia mamma e chiedere aiuto quando ne ho bisogno, tanto o anche solo un pochino. E' vero ciò che
scrive Yummymummy, nel suo commento sotto il post "Piango, piango piango", noi mamme dobbiamo chiedere aiuto. Ma non è facile fare quel passo. A me sembra di aver capito che l'aiuto è una relazione che si deve costruire nel tempo, non si può improvvisare. E' un equilibrio delicato: chi offre aiuto deve fare attenzione a non invadere l'autonomia, chi chiede deve saper ingoiare l'orgoglio di voler fare tutto da sole e soprattutto riporre fiducia nella persona a cui si rivolge. La cosa migliore sarebbe avere già un'idea di chi chiamare, perché quando sei in crisi non sai cercare la soluzione. Per dare un'idea, racconto qualcosa successo pochi anni fa.
L'estate del 2005 fu torrida. Marilena aveva 4 mesi e non era proprio un angioletto. Piangeva di giorno e di notte. La allattavo a richiesta circa ogni ora e mezza. Non capivo perché piangeva sempre, e spesso non riuscivo a calmarla. Ero arrivata a compilare una tabella su cui indicavo gli orari di allattamento, la durata, il seno da cui succhiava: avevo paura di darle il seno vuoto e di non sfamarla. Il mio latte era il pensiero dominante.
Cercavo di posarla nel lettino per paura di viziarla nel tenerla sempre in braccio: che errore. Se l'avessi tenuta addosso a me, magari con una fascia porta-bebé, avrei avuto tempo in seguito per insegnarle l'autonomia e lei si sarebbe calmata molto di più.
Quel giorno di luglio ero in casa con tutte le persiane chiuse per il caldo. Marilena, manco a dirlo piangeva, e io piangevo. Non sapevo più cosa fare, perché ero stanca e sfibrata. Pensavo che un giro col passeggino le avrebbe fatto bene, ma subito dopo mi rendevo conto che con questo caldo non potevo farla uscire. Non me la sentivo di chiamare mia mamma né alcun altro, per la mancanza di quel rapporto di fiducia di cui sopra.
Forse pregai e, nella disperazione, decisi che me ne sarei andata via. Decisi di fare una valigia, prendere la bambina, la macchina e partire, viaggiare lontano, fino al mare.
Poi una voce mi disse che avrei dovuto almeno avvertire mio marito. Lo chiamai in ufficio e con voce rotta ma netta, gli comunicai la mia decisione. Lui non disse altro che "Sì, ma aspetta 20 minuti che io arrivo". A dispetto dei 70 km che ci separavano, arrivò come un lampo.
Ma io ormai ero riuscita a chiedere aiuto, a spostare la responsabilità di farcela su qualcun altro. E la situazione si sbloccò: bagnai un panno e feci delle spugnature sul tutto il corpo alla bimba, che smise di piangere. Mi presi un ghiacciolo dal freezer e scesi in cortile ad aspettare mio marito all'ombra dela vite, con la bimba che sorrideva tranquilla.
La soluzione in questo caso era semplice, ma il difficile era uscire dal tunnel di follia in cui ero finita per mille motivi concomitanti: stanchezza, caldo, pianto ossessionante, paure, senso di inadeguatezza. Una grande nuvola nera che non mi faceva più vedere la luce.
Noi mamme siamo forti e fragili come diamanti. E' anche per questo che scrivo, perché quando mia sorella avrà un figlio vorrei che non fosse sola, vorrei che quando sarà in difficoltà avesse già pensato a chi chiedere aiuto. Vorrei che sapessi, cara Francy, che a qualunque ora avrai bisogno, se penserai di fidarti di me, io ci sarò. E cercherò di essere presente, ma non invadente.